Il Walden di Thoreau e le Letterature lontane dal mondo

“Andai nei boschi perché desideravo affrontare solo i fatti essenziali della vita,
senza scoprire, giunto alla morte, di non aver vissuto”


Chi non ricorda queste parole, rese famose, in forma di citazione e in una traduzione più libera, dal personaggio del professor Keating nel celebre film “L’attimo fuggente”? Ebbene, sono tratte da “Walden.

Vita nei boschi” di Henry David Thoreau, un libro molto meno recente di quanto si potrebbe pensare, che in questo momento di allontanamento dalla vita sociale, dal lavoro nelle sue forme abituali e dal traffico della civiltà, è forse giusto rispolverare per capire il valore di ogni attimo che viviamo, e forse anche per cogliere un’opportunità che nonostante tutto ci viene offerta, ben nascosta sotto la scorza dura della tragedia cui assistiamo.

“Walden” non è che il resoconto particolareggiato dei due anni, compresi fra il luglio del 1845 e il settembre del 1847, che Henry David Thoreau trascorse solo in una piccola casa autonomamente costruita su un piccolo promontorio nel mezzo di un bosco, sulle rive del lago di Walden, in una zona selvatica del Massachusetts, almeno un miglio lontano da qualsiasi forma di civiltà.

Copertina di Walden ovvero Vita nei boschi nella versione originale (1854)

Li trascorse instaurando un dialogo intimo e segreto con l’ambiente circostante, trattando le creature e gli elementi da pari a pari, spogliandosi di qualsiasi forma di aprioristica superiorità da “individuo civilizzato”. È il sogno di una forma di esistenza vergine e incorrotta che attraversa come un mito tutte le epoche, ma che in Thoreau viene temporaneamente realizzato. Diventa così una filosofia di vita originale e anticonformista, molto in avanti coi tempi, a motivo della quale il “Walden” sarà il testo ispiratore, più di un secolo dopo, dei primi movimenti ecologisti, ponendo delle domande capaci ancora oggi di scuotere alla base la nostra idea di economia, di politica, di società, in una veste letteraria profondamente elegante, che è la prova di come la vita solitaria non abbia affatto compromesso la vena creativa dell’autore, ma l’abbia resa piuttosto straordinariamente feconda.

A questo punto verrebbe da chiedersi: si tratta di un caso isolato? Thoreau è forse un individuo dotato di abilità così singolari da permettergli di fare Letteratura lontano da stimoli culturali e sociali degni di questo nome, diversamente dalla maggior parte dei grandi autori? Non è così.

Sono davvero innumerevoli in Letteratura i casi di scrittori e scrittrici che hanno vissuto forme di allontanamento dal mondo, di ritiro, di esilio volontario o coatto, dando vita ai propri capolavori in circostanze davvero singolari. Tutti ricordano il caso di Emily Dickinson che visse praticamente l’intera sua vita nella casa paterna, ad Amherst, comunicando con l’esterno solo attraverso una fitta corrispondenza epistolare. Ma anche Virginia Woolf, per curare i nervi, visse a lungo – e morì – nella tenuta di Rodmell, nelle campagne del Sussex, lontano dall’amata Londra.

Più recente è il caso di Janet Frame, che vinse il suo primo concorso letterario nazionale inviando dei racconti dal manicomio privato dov’era stata arbitrariamente rinchiusa.

Si potrebbe obiettare che l’attitudine ad adattarsi all’alienazione sia una cosa da donne. Per smentire quest’osservazione basterà ammettere che in una compilazione sulla Letteratura d’esilio impostata sui criteri della fama e del lustro, il primo della lista sarebbe, credo, il nome di un uomo: il nostro Dante Alighieri, che scrisse infatti la Divina Commedia proprio durante il periodo dell’esilio da Firenze. Bisogna a questo proposito osservare che quando si tratta di uomini spesso l’allontanamento dal proprio ambiente ha una valenza politica: è il caso di Pablo Neruda, di Victor Hugo, di Milan Kundera – e nel caso di prigionie vere e proprie, come non ricordare Antonio Gramsci e Silvio Pellico? Eppure, anche in questa subcategoria, abbiamo il caso recente di una donna: Isabelle Allende, costretta a fuggire in Venezuela dopo la deposizione dello zio, il leader cileno Salvador Allende.

Come avrete notato non si tratta di nomi – e di opere rispettive – di poco conto. La verità è che a volte innegabilmente, quando ci si allontana dal mondo attorno, si torna a sé stessi, alla propria parte più vera e più profonda. E l’isolamento può diventare apertura.

Per averne la prova basta spostarsi in un mondo contiguo a quello della Letteratura: il mondo della filosofia, o della psicanalisi, per essere più precisi. Anche il celeberrimo Carl Gustav Jung trascorse gli ultimi fecondissimi anni della sua vita in totale, volontaria solitudine – proprio come il nostro Thoreau – nella sua torre a Bollingen, sul lago di Zurigo. E non possiamo certo dargli del matto.

Giulia De Sensi

 

Immagine:

  • https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/25/Walden_Thoreau.jpg;
  • https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/bc/Walden_Pond%2C_2010.jpg.

 

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