È stata inaugurata martedì 17 maggio la stagione del Teatro greco di Siracusa, promossa dalla fondazione Inda. Ad aprire il ciclo delle rappresentazioni drammatiche è stato l’Agamennone di Eschilo, sapientemente diretto da Davide Livermore.
Seduti sui gradoni della cavea, nella splendida location siracusana immersa nel Parco archeologico della Neapolis, spettatori di ogni età e soprattutto studenti, giunti per l’occasione da diverse città italiane, hanno potuto assistere alla messa in scena del primo dramma della trilogia dell’Orestea, rappresentata per la prima volta ad Atene nel 458 a.C. assieme al dramma satiresco Proteo. Suggestiva la skené: il regista ha voluto che, a far da sfondo, vi fosse una lunga parete a specchio che potesse riflettere insieme, a colpo d’occhio, gli attori e il
pubblico, uniti dal comune intento di raggiungere la catarsi, purificando anima e corpo da ogni contaminazione. Sulla scena anche un pianoforte per accompagnare il canto del coro e un modernissimo divano di colore nero.
Utilissimo anche il doppio schermo rotondo, posto sullo sfondo e sulla pavimentazione stessa, sul quale scorrono immagini che permettono ad attori e spettatori di cum patire per la tragedia destinata a consumarsi.
L’azione si svolge ad Argo, davanti alla reggia degli Atridi. Il primo personaggio a fare la propria comparsa sulla scena è una bambina, graziosamente abbigliata con abitino azzurro ed un grembiulino bianco e con due lunghe trecce bionde che le cadono sulle spalle: corre attorno all’orchestra, scompare, poi riappare. Si tratta del fantasma di Ifigenia, sacrificata dal padre per il buon esito della guerra, su consiglio dell’indovino Calcante e senza il consenso della madre, per placare l’ira della dea Artemide, scatenata dall’empietà di Agamennone. Gli spettatori si rendono ben presto conto che le fanciulle sono in realtà due, poiché gli spettri possono manifestarsi in più posti nello stesso momento.
Al centro del teatro appaiono quasi subito i reduci di guerra in sedia a rotelle, accompagnati da domestiche che li assistono, ed altri uomini in camice bianco, quasi a voler simboleggiare la necessità di guarire la stirpe maledetta di Agamennone dalle colpe che si tramandano da generazioni. “Giustizia” sarà, infatti, la parola chiave dell’intera opera, scandita più volte a chiare lettere dai diversi personaggi. La vicenda vera e propria prende le mosse nel momento in cui un messaggero annuncia, dopo ben dieci anni, la caduta di Troia; ma gli Argivi, anziché esultare a tale notizia, rievocano le cause che furono alla base della spedizione greca e si augurano che il re e i suoi soldati si siano astenuti dal compiere azioni sacrileghe che scatenerebbero l’ira di Dike ed, al contempo, osservano che di tanti figli e mariti partiti non è tornato indietro che cenere dentro un’urna.
A questo punto, entra in scena la protagonista femminile, Clitemnestra, con indosso un lungo abito di colore scuro, come le sciagure che ancora sono destinate ad abbattersi sulla sua casa, stavolta per sua stessa mano. Figlia di Tindaro e di Leda, sorella di Elena, era diventata la sposa di Agamennone, dopo che questi le aveva ucciso il primo marito e il figlio da lui avuto e l’aveva violentata. Ricco di pathos è il discorso di Clitemnestra, la quale si presenta come una donna implacabile, che freme dal desiderio di attuare finalmente la vendetta che medita da anni e che ha in parte anticipato, scegliendosi un amante, Egisto, figlio di Tieste al quale il fratello Atreo aveva imbandito le carni dei figli per vendicarsi del fatto che Tieste gli avesse sedotto la moglie. Del resto, secondo l’ideologia eschilea e come ribadito più volte nel corso dello spettacolo: «Sangue chiama sangue, oltraggio chiama oltraggio».
Un araldo precede l’arrivo del re e annuncia, con grande esultanza, che Troia è stata rasa al suolo; tuttavia, durante il ritorno, la flotta argiva è stata distrutta da una tempesta: le immagini che scorrono sugli schermi rotondi vi fanno riferimento. E, finalmente, ecco Agamennone, in giacca e cravatta, sbarcato ad Argo, giunge alla reggia, felice per il buon esito dell’impresa e neppure sfiorato dall’idea dell’ennesimo atto di empietà commesso distruggendo i templi troiani. Il sovrano non è solo: ha portato con sé, come preda di guerra, la bella Cassandra, la profetessa di Apollo, condannata a non essere mai creduta; il suo animo inquieto lascia trapelare ciò che sta per accadere. Il re viene accolto dalla sposa Clitemnestra, stavolta in abito rosso, come il sangue che sta per essere versato, con un bacio appassionato. Al suo ingresso nella reggia, ella fa stendere a terra tappeti di porpora e fa spargere petali dello stesso colore. Il re calpesta quei tappeti e varca le soglie della morte: entrato, viene assassinato per mano della moglie con una scure, proprio nel momento in cui uno stormo di uccelli attraversa il cielo che sovrasta il Teatro greco di Siracusa. Seguirà la morte di Cassandra, preceduta dalla profezia della vendetta di Oreste, il quale, allontanato dalla madre ancora bambino, tornerà per vendicare la morte del padre. Fino ad allora, le Erinni aleggeranno sul palazzo.
A conclusione dello spettacolo, dieci minuti di applausi hanno confermato il gradimento del pubblico. Finzione e realtà, classicismo e contemporaneità si sono perfettamente fusi in questa rivisitazione moderna dell’Agamennone di Eschilo da parte di Livermore, a riprova del fatto che un classico non smette mai di essere attuale e di trasmettere degli insegnamenti. Il nobile intento del regista di far riflettere gli spettatori sulle crudeltà che accompagnano qualsiasi guerra di qualsiasi epoca può dirsi pienamente raggiunto. La stagione teatrale è solo al suo inizio e proseguirà fino al 9 luglio con la messa in scena di altre tragedie: l’Edipo re di Sofocle, Ifigenia in Tauride, le Coefoere e le Eumenidi di Eschilo, per la regia rispettivamente di Robert Carsen, Jacopo Gassman e nuovamente, per le ultime due, di Livermore.
Concetta Maria Rosaria Giovinazzo