ANTONIA POZZI E LA POESIA

Antonia Pozzi è una delle maggiori poetesse italiane. Nella sua breve esistenza ebbe modo di comporre un vasto numero di versi che costituiscono un dono inestimabile per la letteratura contemporanea. Il percorso dell’autrice non venne mai riconosciuto in vita. A oggi, invece, è oggetto di una riscoperta sul piano internazionale.

LA VITA

Antonia Pozzi nasce a Milano nel febbraio del 1912. I genitori provengono da classi sociali molto diverse fra loro: il padre, Roberto, è un avvocato noto nell’ambiente milanese e discende da un’umile famiglia; la madre, invece, è la primogenita del conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana. Quest’ultimo partecipò al Risorgimento, creò una vasta biblioteca alla Zelata di Bereguardo e sposò, nel 1855, Maria Gramignola, giovane vedova. La poetessa riverserà tutto il suo amore nella nonna che definisce “La Nena” nomignolo vivace e dolce, emblema dei sentimenti intensi che nutriva per l’anziana donna. La Nena, sarà per Antonia, balsamo per il cuore, rifugio per l’animo in tempesta. E a lei rivolgerà, prima di morire, l’ultimo pensiero. Un’altra figura cardine nella sua vita sarà Antonio Maria Cervi, professore liceale amatissimo dagli alunni con il quale la scrittrice vive un amore idealizzato e purissimo. Il loro sentimento, però, sarà motivo di dissidio interiore e scontro: ella non vuole, sebbene innamorata, avvicinarsi, come pretende l’amato, alla religione. La Pozzi desiderava giungere a essa per volontà e non per accondiscendenza. Gli eventi precipitano quando il padre della poetessa, che anela a un avvenire roseo per la figlia, mostra la sua insoddisfazione nei confronti di Cervi: lo ritiene un partito inadatto per ragioni economiche e anagrafiche. I due rinunciano al sogno matrimoniale ma si giurano amore eterno, legati a un filo inestricabile.

Intanto, nel 1930, Antonia s’iscrive all’Università statale di Milano dove conosce Antonio Banfi. In questo luogo, manifesta il desiderio di una rinascita. La speranza risulta vana perché è in crisi poetica, in uno stato, come lei stessa scrive, di « porta che si chiude ». Afflitta dal dolore della separazione, dunque, dall’amato Cervi, la scrittrice, in un anno, compone solo nove poesie. Sebbene animata dallo spirito poetico, Antonia avverte, dentro di sé, un malessere inteso e incontrollabile che sfocia, ben presto, in una sconfitta esistenziale, ritenendo la sua produzione insoddisfacente e i suoi versi miseri. L’amico Banfi, al quale sottopone i suoi scritti, invece di darle ausilio e placare il dolore che prorompe nel suo animo, le insinua il dubbio circa la sua vocazione poetica e le consiglia di scrivere il meno possibile. Antonia, però, non demorde e durante il giorno del suo compleanno, compone Un destino dove l’immagine della montagna si fonde alla decisione, viva e sofferta, di dedicarsi alla poesia. Nel 1935 si laurea e conosce Dino, un uomo dall’indole allegra e colmo di vita. Antonia se ne innamora ma, purtroppo, non è ricambiata. Le vicende diventano torbide e sconvolgenti: a seguito del rifiuto amoroso, nell’autunno del 1938, vi fu l’emanazione delle leggi antiebraiche che spinsero la poetessa a comprendere la reale natura del fascismo che, sino a quel momento, era stata celata dal padre che le aveva mostrato un’immagine distorta. La scrittrice è sopraffatta dagli orrori della guerra e delusa dalla politica che massacra vittime innocenti. Il dolore diviene insopportabile: scrive un’ultima lettera d’addio alla famiglia e si avvia, per morire, a Chiaravalle. È il 3 dicembre quando il suo «cuore scalzo» lascia la terra.

Ph. Lorenza De Marco

 

LA POESIA

Quando, nel 1929, inizia a comporre versi, Antonia Pozzi è una fanciulla spensierata e innamorata del mondo. Si volge alla poesia con gran trasporto alternando, al tradizionale endecasillabo, versi liberi novecenteschi. Attinge a piene mani da Palazzeschi (ciò si evince dall’utilizzo dei vezzeggiativi) e Ungaretti (perché, come lui, tende alla ricerca di una parola che sappia andare oltre l’essenza della realtà). Inoltre, i suoi primi componimenti, manifestano la chiara aspirazione crepuscolare e dannunziana.

Con il trascorrere del tempo, le vicende personali si fanno sempre più dolorose: le è negata la maternità e l’amore. Di conseguenza, la sua poesia manifesta toni cupi e, nel 1933, scrive lasciandosi trasportare dai sentimenti mesti. La sezione Vita sognata rievoca l’amore burrascoso vissuto con Antonio Maria Cervi, l’impossibilità di coronare, mediante il matrimonio e un bambino, il loro sentimento purissimo e travolgente. Emerge il dolore della perdita, la solitudine, il rimembrare tempi passati, tutto, però, accostato alla natura che diviene, unico porto a cui attraccare in un mare di tristezza. Infatti, specchio delle sue emozioni risulta essere il paesaggio, scenario metaforico dove rappresenta il suo sentire interiore. Nel 1935 avverte una profonda insoddisfazione verso il proprio lavoro ma reagisce scrivendo in modo sempre più asciutto e diretto. Rinnova la visione della natura: debella, dal linguaggio poetico, l’eccessiva descrizione dei paesaggi per approcciarsi a una maggiore essenzialità compositiva.

I dolori della seconda guerra mondiale la spingono a comporre versi che mostrano una lucida consapevolezza circa le atrocità che avvenivano. In Le montagne si nota, ad esempio, la tristezza per gli uomini partiti in Spagna; oppure in La terra si mette in evidenza la violenza della guerra. La forte espressività linguistica, insieme alla prospettiva pragmatica della realtà, testimoniano l’ultima fase poetica della Pozzi, sino al suicidio.

Tra le sue più belle poesie, figura, sicuramente, Disperazione:

Io sono il fiore

di chissà qual tronco sepolto

che per essere vivo

crea figli

su dall’oscuro

grembo della terra –

Io sono il fiore diaccio

straniato

da ogni umana pietà o preghiera

e l’aria che mi cinge

è vuota

senza respiro

ombrata

dai funerei cipressi –

o chi darà

al fiore

alla sua corolla dolente,

la forza estrema di interrarsi?

 

Lorenza De Marco

 

BIBLIOGRAFIA

Antonia Pozzi, Parole, a cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino, Ancora, 2017.

Informazioni su Lorenza De Marco

Laureata in Lettere e Beni culturali, attualmente è iscritta al corso di Filologia Moderna presso l’Università della Calabria.
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