La monografia “Didone e altre Ombre” e il verso 689 nel IV Canto dell’Eneide: luce nuova su un mistero millenario

Un verso oscuro e affascinante, un’appassionata di Letteratura Classica con una formazione scientifica alle spalle, lunghe sere d’inverno passate davanti al camino, con un pc sulle gambe, tanti libri intorno e un’enorme voglia di trovare prove nuove per spiegare un antichissimo mistero: questi sono gli ingredienti base che hanno portato alla nascita del volume monografico “Didone e altre Ombre. Le morti violente nell’Eneide di Virgilio: uno studio focalizzato sul verso 689 del IV Canto”.

L’opera è appena uscita per Il Sileno Edizioni, nella nuova sezione Literary Criticism, grazie alla passione e alla disponibilità di Francesco De Pascale, Valeria Dattilo, Franco Bilotta, che hanno sposato con dedizione questo progetto.

Il verso 689, uno dei più dibattuti dalla critica Virgiliana, che nessun filologo è mai riuscito ad interpretare in maniera univoca da che l’Eneide è oggetto di studio, dormiva nelle tenebre dell’incomprensione da oltre due millenni: non poteva esserci una sfida più allettante agli occhi di una giovane studiosa.

Si tratta in realtà di un verso che parla di morte, posto al centro geometrico dell’agonia di Didone, la Regina Infelice la cui tragedia è divenuta topos della Letteratura di tutti i tempi.

L’autrice GIulia De Sensi

Questo lavoro si propone di offrire un’interpretazione innovativa, sulla base di conoscenze medico-scientifiche e analisi comparate con altri passi, interni ed esterni all’Opera, per spiegare il senso preciso delle parole contenute nella parte finale del verso: “[…]; infixum stridit sub pectore volnus”, una frase su cui lo scalpello dei filologi si è da sempre accanito, per comprendere come mai una ferita – “volnus” – possa essere “conficcata” – “infixum” –, possa “stridere” – “stridit” – e poi perché “sotto il petto” – “sub pectore” – o “cuore” che dir si voglia?

Alla luce dell’informazione biografica non a tutti nota relativa agli studi di Medicina compiuti dal giovane Virgilio, ci siamo soffermati sulla possibilità che il verso 689 possa suggerire una meccanica di morte precisa, valutata sulla base di conoscenze di fisiologia, anatomia, cinesiologia.

In quest’ottica nuova possiamo concludere che nell’immaginario di Virgilio è la stessa Didone – non un osservatore esterno – a sentir “stridere” le proprie carni, nel momento in cui la funzione motoria e respiratoria dei muscoli di cui si serve per tentare di sollevarsi entrano in conflitto. Ma come dimostrare questa tesi? Per farlo, prima di tutto, ci siamo utilmente serviti del confronto con altre morti violente descritte nell’Eneide, in episodi in cui a volte compaiono gli stessi termini utilizzati al verso 689.

Il lavoro, per esigenze di confronto, si avvale anche di altre fonti, utili ad offrire un quadro di come la morte per ferite da taglio venisse vista e rappresentata in antico, prima e dopo Virgilio: l’Iliade, l’Odissea, la Legenda Maior di San Bonaventura da Bagnoregio, il Tractatus de Miraculis di Tommaso da Celano.

Un aiuto e un riferimento utile è stato fornito anche dal confronto con gli studi sull’Eneide di Brooks Otis, pubblicati ad Oxford nel 1963 ma preferisco non svelare altro, e invitarvi alla lettura.

La monografia, scaricabile gratuitamente in e-book sul sito della casa editrice Il Sileno, è dotata di codice ISBN ed è disponibile per l’indicizzazione nei database internazionali di Web of Science – Book Citation Index.


Giulia De Sensi

 

URL per il download gratuito della monografia: https://www.ilsileno.it/edizioni/ebooks/

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