“Chiacchiere tra traduttori”: intervista a Christine Minutoli (Parte seconda). Tradizioni e traduzioni nel panorama manga in Italia.

 

Vittoria: Lavorare in una casa editrice non vuol dire avere a che fare solamente con le bozze davanti a sé, ma anche con un folto team di persone. In più, suppongo che anche i tempi siano strettissimi e, nel caso di opere che seguono di pari passo la pubblicazione giapponese, sono ancora più stretti.

Christine: Esatto. Una cosa che ho notato, e che succede anche per quanto riguarda le serie TV, è che ora si vuole tutto e subito: i film devono essere doppiati immediatamente perché devono uscire in tutto il mondo lo stesso giorno. Quindi si corre continuamente.

Vittoria: Riguardo a ciò, com’è stato inserire la traduzione in un contesto lavorativo? Come accennavamo prima, all’interno di gruppi e forum, molti ragazzi traducevano e facevano arrivare di tutto. Oltre alle scadenze, c’è di più?

Christine: Bisogna avere una buona organizzazione. È essenziale capire innanzitutto che opera è, quanto è complicata, per quale casa editrice, ecc. Ognuna di loro ha il suo metodo per quanto riguarda il format in cui si deve consegnare la traduzione, come ad esempio per quanto riguarda le indicazioni (se sono onomatopee, se ci sono indicazioni sulla formattazione del testo). Me ne sono resa conto lavorando con due case editrici diverse che hanno, di conseguenza, due metodi diversi. È una cosa a cui bisogna stare un po’ attenti.

Raffaele: Ho notato che leggendo un’opera della J-Pop Manga e poi una della Bao Publishing, per quanto riguarda le onomatopee a volte (le case editrici) sono molto “rigide” sul fatto che devono essere tradotte, mentre in altri casi le lasciano integrali.

Vittoria: Effettivamente adesso i traduttori non traducono più così spesso le onomatopee, ma le lasciano integralmente nella pagina mettendo a fianco la traduzione.

Christine: Penso che sia una questione legata alle tempistiche strette, perché anche per il grafico mettere semplicemente la traduzione è decisamente più veloce che cancellare tutto e riscriverla da capo.

Quindi l’organizzazione del lavoro è fondamentale perché le scadenze vanno rispettate. La traduzione è il primo passo da cui parte tutto l’iter per pubblicare poi l’opera. Se iniziano i ritardi già con la traduzione, parte una reazione a catena.

Vittoria: In pratica possiamo dire che il traduttore è il primo anello di una infinita catena, il cui l’ultimo è la distribuzione e, di conseguenza, l’arrivo in fumetteria. Parliamo invece più approfonditamente di “Girl from the Other Side”.

Edito da J-Pop, pubblicato in Giappone sulla rivista “Monthly Comic Blade” di Mag Garden, è considerato un seinen (manga indirizzati ad un pubblico maschile più adulto) e, sebbene si discosti tantissimo dal genere, è stato accolto con tantissimo entusiasmo. Tu personalmente conoscevi già l’opera prima di lavorarci, oppure ti è stata proposta?

Christine: In realtà a me è stata proposta perché avevo lavorato precedentemente ad una miniserie di Somato, ovvero “Kuro” che ha già delle tematiche gotiche, anche se è totalmente diverso da “Girl from the Other Side”.

Io ho accettato e allora mi hanno inviato tutti i volumi che erano usciti fino ad allora, quindi l’ho scoperto così. Anche a me, come a Raffaele, hanno colpito subito i disegni in copertina perché quasi non sembra un manga.

Raffaele: Sembra uno di quei lavori creati da illustratori, cioè un artbook.

Christine: Esatto. Ad esempio mi ha ricordato un’artista italiana che mi piace tantissimo, ovvero “Loputyn”, e ho fatto subito il collegamento perché entrambi hanno un tratto molto fiabesco e totalmente lontani dal canone manga a cui ero abituata.

Non mi era mai capitato di trovarne di simili, nonostante ci siano un sacco di mangaka (autori di manga) che adottano degli stili particolari, però “Girl from the Other Side” ha proprio l’atmosfera da fiaba.

Raffaele: Di recente è stato rilasciato il corto animato (OAV). Non ce lo aspettavamo senza dialoghi, eppure è fruibile perfettamente.

Vittoria: A proposito di questo, tu come traduttrice ci metti ovviamente il tuo “tocco” in italiano, ma com’è stato leggerlo per la prima volta in giapponese?

Christine: Come ho già detto, mi è sembrata una favola. Mi ha colpita tantissimo dal punto di vista stilistico. Non soltanto il tratto, ma anche l’uso dei colori: è tutto o bianco o nero. Il grigio e i retini vengono usati soltanto per i personaggi in penombra o per le sfumature, e non ci sono ombre che definiscono una figura in modo tridimensionale.

Infatti è proprio sulla differenza tra bianco e nero su cui punta tantissimo l’autore all’interno della narrazione, e questa cosa mi ha affascinato molto. Sempre dal punto di vista grafico una cosa che purtroppo si è persa in italiano è il fatto che, per sottolineare il fatto che Shiva sia una bambina e che non sappia parlare come un adulto, in giapponese usa soltanto l’hiragana (ndr. alfabeto sillabico usato, al contrario dei caratteri cinesi, esclusivamente per il suo valore fonetico).

Io e il mio editor abbiamo cercato il più possibile di riprendere un po’ una parlata infantile, però a volte c’erano delle parole che non potevano essere adattate. Sono però tutte delle piccole accortezze che valgono non solo per quanto riguarda Nagabe, ma per il mondo dei manga in generale.

Forse proprio per la particolarità della scrittura giapponese gli autori riescono sempre a differenziare il carattere dei personaggi. È una cosa che mi piace tantissimo.

Vittoria: Come dici tu, ci sono delle cose che non possono “arrivare” al pubblico italiano a causa dei limiti linguistici. Legandomi sempre alla questione della traduzione, dopo averci svelato questa chicca dell’uso dell’hiragana solo sul personaggio di Shiva, come hai dovuto rendere sia il suo carattere che quello del Maestro?

Christine: Con Shiva ho provato il più possibile a riprodurre un po’ la parlata dei bambini, più che altro concentrandomi sulla scelta di determinate parole ed espressioni tipiche. Era molto improbabile riuscire a farlo in ogni singolo dialogo, però su Shiva mi sono concentrata principalmente su quello.

Per il Maestro in realtà non ho avuto particolari problemi perché la grande caratteristica del Maestro e di tutti gli Estranei è data più dallo stile grafico che hanno adottato in fase di lettering, quindi io li non c’entro tantissimo (ride). Tuttavia ho avuto problemi nella scelta dei termini, ed è da lì che sono partita con la traduzione.

Vittoria: Hai avuto indicazioni particolari dall’editor giapponese o addirittura dall’autore? Ci sono dei termini che dovevano essere tradotti in un modo specifico?

Christine: In questo caso no. A volte capita che la casa editrice ci mandi il glossario con la traslitterazione ufficiale dei nomi. Ad esempio Shiva usa l’hiragana chiamando il Maestro “sensei”, senza la i finale, che poteva voler dire di tutto, anche il suo nome ad esempio. Andando avanti nella lettura ad un certo punto la bambina in un dialogo si riferisce a lui chiamandolo “dottore”, perché sensei significa anche “dottore” in giapponese. E lì è iniziata un’arrampicata sugli specchi (ride) perché avevo ormai deciso che doveva essere “Maestro” e scegliere “dottore” non mi dava la stessa sensazione.

Raffaele: Dalla lettura, il primo aspetto che Shiva vede nel Maestro è proprio quello di una persona colta e Shiva lo associa subito a un “maestro”. Subito dopo invece si rende conto della sua professione, quindi nonostante sia un aspetto notato in seguito è reso in realtà molto bene all’interno dei volumi.

Christine: Infatti sono andata dall’editor e ho giocato sul “maestro di medicina”, quindi è un “dottore” ma anche “maestro”. Mi sono proprio arrampicata sugli specchi (ride). Però ci tenevo a usarlo! Avevo anche pensato eventualmente di scegliere un altro termine, però “maestro” era l’unico che mi veniva in mente che gli desse un’aria abbastanza erudita.

Un altro termine possibile che mi era venuto in mente era “dotto”, però non mi piaceva tanto, oltre al fatto che mi ricordava uno dei sette nani (ride). Non dava la stessa magia al personaggio. Non sembra, ma solo per decidere questa cosa ho perso tantissimo tempo.

Un altro problema è stata la scelta del nome per gli umani e gli Estranei. In giapponese sono detti “mondo/regno esterno” e “mondo/regno interno”; gli abitanti del “mondo esterno” erano chiamati “esterni”, che poi ho cambiato in Estranei perché mi piaceva di più sia per il fatto che non sapevano esattamente che creature fossero che per il suono. Il problema rimaneva con le persone del “mondo interno”: traducendolo letteralmente dal giapponese sarebbe stato gli “interni”, però la prima cosa a cui si pensa in italiano sono i mobili.

Quindi avevo ragionato eventualmente su due termini: uno era “relegato” e l’altro era “recluso”, legandomi al fatto che si erano rinchiusi all’interno delle mura del regno cercando in tutti i modi di non far entrare gli Estranei, isolandosi dal resto del mondo. Alla fine abbiamo deciso per “relegato”. Però ecco, ho perso solo una giornata per studiare i termini da utilizzare.

Vittoria: Tra i manga di cui ti occupi all’interno di J-Pop Manga c’è “Toradora”. Inizialmente tradotto da Asuka Ozumi, a partire dall’ottavo volume sei tu a tradurlo. Com’è stato ricevere in “eredità” una traduzione già in corso d’opera? Può capitare che gli stili siano diversi, soprattutto se, come in questo caso, la precedente traduttrice è addirittura madrelingua. Come ti sei dovuta approcciare nei confronti di ciò?

Christine: Io sono stata avvantaggiata perché la prima serie che J-Pop Manga mi ha affidato quando ho iniziato a lavorare con lei è stata “L’impero delle Otome”, una serie di cui erano usciti solo i primi due volumi. Quindi la mia prima opera di traduzione è stata una serie che era già stata tradotta da qualcun altro. Ho svolto una ricerca vera e propria: mentre studiavo lo stile della precedente traduttrice segnavo le espressioni che usava più spesso cercando non di copiarle, ma di mantenermi in linea. Considerato il fatto che era la mia prima opera di traduzione, ero ancora inesperta e non volevo commettere errori.

Inoltre non volevo che, all’uscita del terzo volume, sia i vecchi lettori che quelli nuovi provassero una sensazione “alienante”. Questa cosa mi ha aiutata tantissimo. Ho avuto poi a che fare con un’altra opera di cui era uscito solo il primo volume (conclusa in quattro volumi) e anche lì mi sono dovuta rifare alla traduzione precedente. “Toradora” è una pietra miliare sia come anime che come light novel, e l’idea che mi avessero affidato il manga tratto da una serie così importante da una parte mi faceva sentire onorata, però dall’altra mi saliva il triplo dell’ansia che avevo di solito (ride).

Vittoria: Anche perché hai tradotto dall’ottavo volume, quindi parecchio avanti.

Christine: Il problema con “Toradora” è stato che, iniziando a tradurre dall’ottavo volume avevo bisogno di tutti quelli precedenti per studiare lo stile della traduttrice. La casa editrice non ha potuto mandarmi i cartacei perché non ne avevano più e ha dovuto mandarmi la versione digitale. Di solito non è un grande problema perché se possono mandano sempre i cartacei, altrimenti se si tratta di una consegna abbastanza urgente o che magari non è ancora arrivata dal Giappone, mi mandano la versione in pdf per non farmi perdere tempo. Lì per lì ero un po’ agitata perché avevo paura che non avessero neanche la versione digitale e quello sarebbe stato un po’ un problema (ride). Però fortunatamente è andato tutto bene.

Raffaele: Avendo avuto il permesso da parte della Bao Publishing, volevamo parlare anche di “Princess Maison”, che abbiamo letto e ci è piaciuto particolarmente. “Princess Maison” è un manga più di nicchia e introspettivo.

Leggendolo, mi sono anche reso conto che si discosta dall’idea, quasi idilliaca, che hanno moltissime persone del Giappone. “Princess Maison” mette molto in risalto l’aspetto più malinconico di Tokyo, discostandosi dall’immagine di città “perfetta”. Ci sono molti esempi di persone che hanno difficoltà anche solo ad avere una casa perché single, o per il fatto che bisogna avere un garante per affittare un appartamento.

Christine: In effetti ci mostra “l’altra faccia” del Giappone, che non è soltanto fiori di ciliegio. Anche vedere una cosa così naturale come la ricerca di una casa, nonostante sia una cosa che spetta a tutti, ci fa riflettere sul fatto che ci sono molte persone che vanno incontro a discriminazioni che non ci aspetteremmo da un paese come il Giappone, come la faccenda delle donne.

A proposito di ciò mi piace tantissimo che si concentri su tanti tipi di donne diversi: storie diverse, caratteri diversi, ognuna con un lavoro differente, sogni e speranze. E quindi penso che sia anche più facile provare empatia verso questi tipi di storie e soprattutto verso la protagonista, o almeno a me fa molta tenerezza (ride), ma le invidio per la loro tenacia.

Tra le serie di cui mi avevano inviato il primo volume per fare la scheda di lettura, “Princess Maison” era quello che mi era piaciuto di più, anche perché io e il mio compagno avevamo preso casa da poco, quindi mi ero ritrovata tantissimo in alcune cose (ride).

Vittoria: Come con tutte le cose quindi bisogna “avere chimica”. Anche nel tuo caso, l’hai sentita più “tua” perché stavi anche vivendo le stesse situazioni.

Christine: Esatto. Un’altra cosa che forse aiuta a far sentire l’opera più vicina a noi è il fatto che la mangaka abbia ambientato la storia a Tokyo in vista delle Olimpiadi (2020). Quindi era un’opera che, se non ci fosse stata la pandemia, in teoria sarebbe dovuta uscire proprio in quel periodo.

Una cosa che mi piace tantissimo di questa serie sono i piccoli dettagli: la notizia data al telegiornale e altri elementi, sono dei piccoli particolari che le danno un’aria molto intima, qualcosa con cui ognuno riesce a ritrovarsi.

Raffaele: Leggendo il manga, ho visto che ci sono dei brevi dialoghi che non sono scritti nei balloon e ho pensato che fossero molto particolari. Sono andato a vedere qualche pagina in giapponese e ho notato che fanno parte proprio dello stile particolare dell’autrice.

Vittoria: Visto con quanto entusiasmo traduci questo manga, non posso non chiedertelo: c’è un’opera che hai tradotto che ti è particolarmente vicina? E se tu potessi tradurre un’opera già esistente in italiano, quale sarebbe?

Christine: Per quanto riguarda i manga c’era un’opera in particolare che aveva un valore affettivo, non tanto perché mi premeva tradurre, ma perché è stato il manga il cui primo volume era uscito proprio nel periodo in cui ero in Giappone, ovvero “Wotakoi”. Vivevo a Ueno e trasferendomi a Nakano facevo spesso un giro a Nakano Broadway che, rispetto ad Akihabara, è incentrato di più sul vintage e roba di seconda mano, con spazi espositivi su cui si mette qualsiasi cosa a seconda dei periodi.

Una volta ci sono capitata per caso e in una mostra gratuita c’erano le sue bozze originali. Mi sarebbe piaciuto lavorarci su proprio per via di questo ricordo, anche perché non mi era mai capitato di veder nascere un’opera nel suo paese d’origine. Se lo guardo infatti, ripenso proprio a quel periodo. Per quanto riguarda le light novel invece mi sarebbe piaciuto tradurre, sempre per valore affettivo, “Your Name” di Makoto Shinkai, perché è stata la prima che ho letto totalmente in giapponese.

Parlando dei classici invece, sinceramente essendo una persona ansiosa, non saprei quali potrei tradurre. Di certo la mia serie manga preferita in assoluto è “Fullmetal Alchemist”, però non so se me la sentirei di tradurla (ride). L’ho riletta talmente tante volte che non credo di riuscirci.

Raffaele: Spesso i nostri professori dicono sempre che le traduzioni hanno una “data di scadenza”. Non ho ben capito in effetti fin dove si spinge questa data di scadenza, ma prima o poi è un lavoro che deve essere rifatto.

Christine: È per aggiornare anche il linguaggio e renderlo sempre più fruibile il più possibile anche alle generazioni future, ma non saprei nello specifico. Altre opere che mi piacerebbe ritradurre sono quelle di Yu Watase, come “Fushigi Yugi”.

Raffaele: Dunque siamo arrivati alla fine dell’intervista. Ringraziamo infinitamente Christine per il tempo che ci ha dedicato. Speriamo il prima possibile di leggere nuove opere tradotte da lei!

Christine: Grazie a voi! È stato un piacere!

Raffaele Caruso e Vittoria Aiello

 


Le immagini e le copertine delle opere menzionate in questo articolo sono state utilizzate per gentile concessione di J-Pop Manga e Bao Publishing.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

I commenti sono chiusi.