SanPa: luci e tenebre di San Patrignano. La docu-serie che ha scosso le coscienze

Nelle ultime settimane sta facendo discutere la docu-serie SanPa, prodotta da Netflix e incentrata sulla comunità di recupero per tossicodipendenti San Patrignano, fondata da Vincenzo Muccioli nel 1978 a Coriano.

Fa discutere per il quadro problematico dipinto dalle testimonianze degli ospiti della struttura, per la figura enigmatica di Muccioli e discutere anche per le tecniche di disintossicazione utilizzate quarant’anni fa.

Incuriosita dall’eccessivo vociare attorno a questo documentario in cinque episodi, decido di vederlo anch’io e farmi un’opinione a riguardo. Conscia della totale obiettività con la quale mi accostavo alla serie, in quanto totalmente ignara dei fatti accaduti all’interno della struttura e dell’eco mediatica di quegli anni.

In 5 episodi, dai titoli emblematici e solenni, il documentario riesce a definire la nascita di San Patrignano, la crescita, lo scandalo e il declino della stessa attraverso la figura di Vincenzo Muccioli.

Quello che viene fuori è uno spaccato dell’Italia degli anni ‘80 e del mondo delle tossicodipendenze mostrato dal punto di vista dei tossici, delle famiglie, dello Stato, dei guaritori e dell’opinione pubblica.

Vincenzo Muccioli: odi et amo

Tutta la serie ruota attorno alla figura del fondatore di San Patrignano, Vincenzo Muccioli. Un imprenditore con poco fiuto per gli affari, dedito alla pranoterapia (e probabilmente anche a qualche truffa come medium) che un giorno decide di raccogliere tutti quei ragazzi che, a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80, iniziano la discesa verso la tossicodipendenza.

L’ex imprenditore, reduce da diversi fallimenti, aveva trovato il cavallo vincente, San Patrignano, in grado di dargli potere, successo e considerazione, facendo comunque del bene. Megalomane ed egocentrico, Muccioli imposta la comunità come una sorta di grande famiglia in cui lui è il padre indiscusso e gli ospiti sono i suoi figli, che hanno come unico compito quello di rigare dritto e imparare un mestiere.

In poco tempo SanPa cresce a dismisura – accogliendo dapprima decine, poi centinaia e infine migliaia di ragazzi – così come cresce l’opinione pubblica dalla parte del discusso Muccioli “salvatore di vite”, appoggiato da persone di spicco come i Moratti e Paolo Villaggio, ma anche da tutti quei genitori disperati che hanno riposto in lui la speranza di riavere indietro i propri figli.

Quello che si faceva all’epoca, dunque, era una sostituzione della dipendenza da droghe con una dipendenza da Muccioli e San Patrignano.

Vincenzo Muccioli, carismatico nello sguardo e nelle parole, aveva raggiunto una sicurezza tale che anche i processi e le accuse mosse a lui e ai suoi metodi erano un espediente per rafforzare le sue convinzioni e circondarsi di persone fidate che avrebbero fatto di tutto pur di proteggere San Patrignano.

Terapia d’urto

I metodi e le terapie utilizzate all’interno di San Patrignano rappresentano il pomo della discordia, oggi come 40 anni fa, che dividono l’opinione pubblica e gli ex ospiti della struttura stessa.

Le crisi d’astinenza e il ripulirsi dalla droga sono situazioni complesse, violente, pericolose e delicate da affrontare e, colpevole forse la novità del mondo della tossicodipendenza, l’unico metodo applicato era quello del bastone e la carote.

Almeno all’inizio, non c’erano terapie mediche o psicologiche, e l’unico modo per tenere occupata la mente del tossico era lo svolgimento di un lavoro manuale e quando questo non bastava si utilizzava la violenza, la detenzione forzata e le catene.

È proprio questo il fulcro di tutto: Il fine giustifica sempre i mezzi? Il machiavellico Muccioli credeva di sì e molti erano d’accordo, fino a quando – dopo una serie di suicidi sospetti – non ci scappa il morto.

L’omicidio di Roberto Maranzano minò nel profondo l’immagine di Muccioli e della stessa San Patrignano, evidenziando l’inadeguatezza della gestione di una struttura così imponente da parte di un unico uomo. Mettere dei tossici a guardia di altri tossici aveva creato un clima di terrore e sudditanza spaventoso che mostrava la propria tossicità nel famigerato mattatoio.

Una questione bicromatica

Benché si volesse dimostrare come tutto fosse bianco o nero, dentro o fuori la comunità, pro o contro Muccioli, chi controlla o chi viene controllato, in realtà appare un’enorme zona grigia nella quale si colloca tutta la questione.

Anche gli intervistati stessi che sono pro Muccioli come il figlio Andrea, il medico Antonio Boschini e l’amico Red Ronnie, e quelli contro il fondatore di SanPa come Walter Delogu, altri ex ospiti della struttura e il giornalista Luciano Nigro, dimostrano che la testimonianza più vera, profonda e significativa risulta quella di Fabio Cantelli che si colloca al centro della zona grigia.

Lui, che nel corso della sua permanenza a San Patrignano è passato più volte da amare ad odiare Vincenzo e ciò che lo circondava, dimostra che non c’è una sola verità o una sola opinione valida.

Parafrasando ciò che lui stesso afferma alla fine della docu-serie:

 “Ce l’ho fatta grazie a Vincenzo e San Patrignano e nonostante Vincenzo e San Patrignano”.

Dopo 5 puntate, tante testimonianze, tanti girati originali, tante parole pronunciate dallo stesso protagonista e tanta delusione intrisa di nostalgia, mi viene in mente il famoso incipit catulliano che avrei visto benissimo sullo schermo con lo scorrere dei titoli di coda:

“Odio e amo. Forse chiederai come sia possibile; non lo so, ma è proprio così e mi tormento.”

Federica Lucia

 

 
 

Immagini:

  • https://www.comingsoon.it/
  • https://www.netflix.com/.

 

Informazioni su Federica Lucia

Ironica e solare, amo la radio, il cinema e la TV. Oltre a cuffie e microfono l'altra mia grande passione è la scrittura. Guardo, ascolto e leggo qualsiasi cosa mi capiti a tiro e mi piace scriverne da un punto di vista differente e personale.
Aggiungi ai preferiti : Permalink.

I commenti sono chiusi.