Oggi ci allontaniamo lentamente dalle coste del Mediterraneo per addentrarci sulle rotte battute per secoli da mercanti, cammellieri e uomini di commercio provenienti da ogni angolo del mondo antico in cerca di profitti, scambi ma anche esperienze irripetibili.
Seguendo le loro tracce, dall’antica Roma finiamo dritti nel cuore della Cina e dello sconfinato continente asiatico su un itinerario che solo a nominarlo evoca suggestioni a fior di pelle: la Via della Seta.
Declinarla al plurale e parlare di “vie” sarebbe forse più corretto, ma perché privarci dell’esotismo di una definizione così azzeccata, benché di stampo teutonico e ottocentesco?
Per Via della Seta si intende infatti un reticolo di strade che si ramificava per ben 8000 chilometri e includeva gli itinerari terrestri, marittimi e fluviali lungo i quali si svilupparono i commerci e le principali rotte carovaniere delle antiche civiltà comprese tra l’impero romano e quello cinese: strade battute da viandanti esperti, che collegavano l’Asia Centrale al Medio e Vicino Oriente fino al Mediterraneo e Roma, dove la seta, protagonista assoluta di questo periglioso viaggio tra archeologia, storia, leggenda e letteratura, era tra i beni di lusso più apprezzati dell’epoca.
Quale epoca? In origine vi fu la Via Reale Persiana (475 a. C. circa) di cui parla Erodoto: 3000 chilometri dalla città di Ecbatana (attuale Hamadan) a Susa (attuale Shush), fino al porto di Smirne (attuale Izmir), sull’Egeo. Alla sua manutenzione e protezione provvedeva l’impero achemenide, con stazioni di posta e caravanserragli a distanze regolari.
Un viaggiatore comune poteva percorrerla completamente in 3 mesi; i corrieri imperiali, cambiando i cavalli sfiniti con quelli freschi, ce la facevano in soli 10 giorni.
Fu Alessandro Magno a imprimere una svolta decisiva e strutturata alle comunicazioni stabili tra Oriente e Occidente, espandendo il proprio dominio dall’Asia Centrale al Medio Oriente, dalla Valle dell’Indo all’attuale Afghanistan. Nel 329 a.C. si spinse all’imbocco della Valle di Fergana (Tagikistan) e fondò la più remota delle sue città, aprendo un varco verso le estreme regioni del Levante.
Quando la seta giunse a Roma fu amore a prima vista, vera e propria dipendenza!
“I Seri sono famosi per la sostanza lanosa che si ottiene dalle loro foreste. Dopo un’immersione nell’acqua essi pettinano via la peluria bianca dalle foglie”.
Neppure Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis historia (23, 79), aveva compreso l’origine misteriosa della seta, definendola ingenuamente “lana delle foreste”.
La seta giungeva a Roma dopo un viaggio che solo in pochi potevano immaginare, punteggiato di stazioni di sosta e rifornimento, caravanserragli e magazzini i cui resti impreziosiscono ancora le lande deserte del Vicino Oriente, tra Palmira, la “Sposa del deserto”, Petra, capitale nabatea che incrocia la Via dell’Incenso, Antiochia, Tiro e Sidone. È in ciascuno di questi luoghi che incontriamo traccia di quella che possiamo definire una vera e propria “archeologia della seta”.
L’effetto serico sulla pelle degli antichi romani fu davvero simile a una droga di cui non si poteva più fare a meno, tanto che il senato emanò diversi editti per bandire la seta e proibirne l’uso definendola “immorale”. Come sempre, dietro il provvedimento proibizionista si nascondevano ragioni economiche, ciò che oggi chiameremmo “debito estero”.
Fu sotto l’imperatore Giustiniano (VI secolo) che il commercio sulla tradizionale Via della Seta terrestre subì una prima brusca frenata a favore di un tentativo di produzione propria e dell’apertura di una nuova via di mare che consentì a Roma l’approvvigionamento dell’ambita materia prima, il baco da seta, direttamente a Bisanzio.
Procopio sostiene addirittura che per risolvere il problema alla radice, Giustiniano introdusse la sericoltura in Occidente chiedendo a dei monaci nestoriani di esportare illegalmente le uova dei bachi da seta dalla Cina.
Non stentiamo a crederlo. La Via della Seta non fu una semplice via dell’antichità, una strada nata e morta senza lasciare traccia. Fu essa stessa viaggio e meta del viaggio: vi circolarono non solo tante altre merci preziose alla volta di Roma – della nostra civiltà – ma anche e soprattutto grandi idee, illuminazioni, credenze religiose, principi fondamentali di matematica, geometria e astronomia. In entrambi i sensi si incontrarono manicheismo, nestorianesimo e buddhismo. Da Roma all’Himalaya, fino alla Grande Muraglia, il mondo si riconobbe e si unì. Gli scambi lungo la Via della Seta gettarono le basi del mondo medievale e moderno.
Una chicca sentimentale in chiusura… sulla Via della Seta si intercetta a pieno titolo la mia terra.
Attorno al VI secolo, infatti, la Calabria divenne anello fondamentale della catena produttiva serica: la coltivazione del gelso, importato dall’Oriente per sfamare i bachi da seta, trovò in questa terra il suo habitat ideale e consentì di avviare un’attività di bachi-sericoltura che ancora oggi, a distanza di secoli, caratterizza una nicchia produttiva di eccellenza regionale.
Il mistero e l’incanto che riesce a evocare la Vita della Seta è racchiuso tutto in questo scambio di popoli e saperi lontani, eppure disposti a venirsi incontro su una strada comune, da percorrere a doppio senso, sollevando una domanda legittima: sono i popoli a fare le strade o sono le strade a fare i popoli?
Eliana Iorfida
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- Di Abraham Cresques, Atlas catalan – Scanné de Coureurs des mers, Poivre d’Arvor., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3518886;
- Di Mappo – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10084864.
Archeologa e scrittrice. Si laurea a Firenze in Archeologia del Vicino Oriente e partecipa a importanti missioni di scavo internazionali (Siria, Egitto e Israele), trasformando i diari e le storie di viaggio nei romanzi di successo, Sette paia di scarpe (Rai Eri, 2014) e Antar (Vertigo Edizioni, 2018). Dell’autrice anche la raccolta di racconti La scatola dei ricordi (Formebrevi Edizioni). Caporedattrice per ViaggiArt, portale sul turismo culturale; è di recente uscita il suo terzo romanzo per Pellegrini Editore, dal titolo Il figlio del mare.
Foto profilo. Autore: FerMentis