CondiVisioni | “Chissà se un secolo fa pensavano la stessa cosa di Duchamp”

Post parzialmente tratto dal blog
“Un altro blog che non interessa a nessuno”
di Valerio Vitale
(https://aunaltroblogchenonleggeranessuno.tumblr.com/)


12 marzo 2020 |
« Quella di cui voglio parlarvi oggi è la storia che più mi ha stravolto da studente e che ha fatto si che dedicassi il mio intero percorso di studi alla storia dell’arte.

Figura assolutamente affascinante e poliedrica, il nostro Marchel (Duchamp – ndr) ha lasciato una produzione immensa, spaziando tra pittura (nelle correnti del cubismo e fauvismo), scultura, fu animatore del dadaismo e del surrealismo e ideò la tanto discussa arte concettuale con i suoi ready-made. 

L’autore Valerio Vitale, Storico e critico d’arte

Il termine ready-made, traducibile come già fattoconfezionatoprefabbricatopronto all’uso, in Italiano si riferisce esclusivamente ad un oggetto disponibile sul mercato del quale un artista si appropria così com’è, ma privandolo della sua funzione utilitaristica.

Aggiunge un titolo, una data, a volte un’iscrizione e opera su di lui una manipolazione (capovolgimento, sospensione, fissazione sul terreno o sul muro, ecc.). Quindi lo presenta in una mostra d’arte, in cui viene conferito all’oggetto lo status di opera d’arte.

l ready-made è un’opera d’arte che si identifica nell’enunciato ‘Questo è arte’. Perché questo enunciato possa compiersi è necessaria la presenza di quattro elementi: un oggetto che ne costituisca il referente, un soggetto che la pronunci, un pubblico che la recepisca e la faccia propria, un’istituzione che accolga e registri l’oggetto a proposito del quale quell’enunciato è stato proferito”.

Da tale prospettiva, pertanto, il ready-made influisce sul concetto stesso di opera d’arte, sul concetto di autorialità, sulle modalità di fruizione dell’opera e sul rapporto con le istituzioni che la legittimano. L’opera, quindi, si caratterizza di un comune manufatto di uso quotidiano (un attaccapanni, uno scolabottiglie, un orinatoio, ecc.) che assurge ad opera d’arte una volta prelevato dall’artista e posto così com’è in una situazione diversa da quella di utilizzo, che gli sarebbe propria (in questo caso un museo o una galleria d’arte).

Il valore aggiunto dell’artista è l’operazione di scelta, o anche di individuazione casuale dell’oggetto, di acquisizione e di isolamento dell’oggetto.Ciò che a quel punto rende l’oggetto comune e banale un’opera d’arte, è il riconoscimento da parte del pubblico del ruolo dell’artista. L’idea di conferire dignità ad oggetti comuni fu inizialmente un forte colpo nei confronti della distinzione tradizionale, comunemente accettata e radicata, tra ciò che poteva definirsi arte e ciò che non lo era.

Nei tempi a cui risale la nostra storia, Duchamp si era sistemato con facilità nella vita di New York. Aveva trovato amici leali e ammiratrici femminili, e fatto un po’ di soldi vendendo le opere precedenti agli Arensberg. Giocava sulla curiosità e l’ammirazione del suo pubblico nel mondo dell’arte e della società, e sapeva come tenerli in attesa dello scandalo successivo.

L’America stava giusto entrando in una fase molto difficile della sua storia, una fase che avrebbe avuto ripercussioni di vasta portata. Il 6 agosto 1917 il Congresso votò l’entrata in guerra contro la Germania. Qualche giorno prima, la commissione militare francese a New York dichiarava Duchamp inabile al servizio militare in via definitiva. Per gratitudine, lavorò sei mesi per la missione, come segretario di un capitano che in seguito descrisse come un “idiota”. Poco dopo viene nominato segretario della commissione allestimento mostre dalla “Society of Indipendend Artist” alla cui fondazione aveva contribuito, insieme ad Arensberg, Man Ray e Manuel de Layas, fra gli altri. Come opera personale, presentò alla Society un orinatoio di porcellana capovolto, con il titolo di Fontana e firmato a pennello: “R. Mutt 1917″.

Lo scandalo era più o meno garantito, poiché lo statuto dell’associazione vietava di rifiutare un’opera che le veniva offerta, qualunque cosa fosse. Per aggirare quella regola, Fontana fu nascosta dietro una tenda per tutto il tempo della mostra. Lo stesso Duchamp dirà in seguito che non era a conoscenza della collocazione della sua opera e che nessuno osava parlare di essa. 

La Fontana-Orinatoio ebbe origine da un esperimento riguardante il gusto; Duchamp scelse l’oggetto che avesse meno probabilità di essere apprezzato. Il pericolo è il piacere artistico; ma si riesce a fare ingoiare qualunque cosa alla gente, se si prova, ed è quello che accadde.

Benché l’identità di chi si celava dietro R.Mutt venisse scoperta molto presto, Duchamp fu deliziato dal risultato dell’esperimento. Aveva dimostrato che qualunque cosa poteva essere “arte”, e ciò significava, a sua volta, che arte poteva essere qualunque oggetto usato. La Fontana di Duchamp fu celata agli stuardi del pubblico perché i pittori di New York, come i colleghi di Parigi avevano afferrato la minaccia implicita. La strategia di Duchamp era forse meno perversa di quanto appaia oggi; il gesto acquisì la sua intera carica sovversiva solo quando il ready-made fu messo in mostra in un museo con sotto il vero nome dell’artista. L’oggetto, privato della sua identità originale, diveniva così la creatura del tempo e del luogo dell’esposizione. 

Duchamp l’avrebbe firmata con lo pseudonimo “R.Mutt”, che traslitterato evoca fonicamente il sostantivo tedesco “Mutt(e)R” ossia Madre; altri ritengono più conducente una simile ipotesi riferita, però, al francese “muter” che significa “mutare”, cambiare, defunzionalizzare e rifunzionalizzare appunto. In ogni caso l’opera andò perduta. Nella fase di spostamento di quest’ultima l’artista inciampò facendola cadere. Quello che resta, oltre alle due copie, è la splendida fotografia di Stieglitz, scattata in questa angolazione particolare con un particolare gioco di luci e ombre voluto di comune accordo dai due e che ha fatto si che l’opera venisse in seguito ribattezzata “Nostra dama del gabinetto”. Di fatto l’ombra al suo interno rimanda a quella che è la sagoma della Madonna.

Alla luce di questa storia che sei anni fa ha cambiato la mia esistenza e il mio percorso di studi, mi chiedo, quindi, se anche il caro Marchel Duchamp, già nel 1917 venisse etichettato come “quello che ha distrutto il mondo dell’arte”, esattamente come noi giovani siamo quelli che anno distrutto la società».


Valerio “Hank” Vitale

Immagini:

  • https://www.flickr.com/photos/salim/83124610;
  • https://it.m.wikipedia.org/wiki/Marcel_Duchamp

Informazioni su Valerio Vitale

Storico e critico d’arte
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