La Fràssia | Storia ed evoluzione di un’antica tradizione sangiovannese

Espressione creativa della cultura subalterna, in rapporto dialettico con la cultura dominante, la fràssia rappresenta uno dei pilastri della tradizione popolare di San Giovanni in Fiore (Cosenza).

La fràssia è un componimento satirico, protagonista di una vera e propria rappresentazione burlesca; espressione polemica del linguaggio popolare, dell’irriverente voce dei fràssiari (poeti compositori di fràssie) che con le loro
rime denunciano corruzioni, angherie, talvolta informando della condotta viziosa della rappresentanza politica o dei personaggi più rinomati del paese.

Le sue radici storiche sono da rintracciare alla fine dell’800: allora San Giovanni in Fiore contava un’importante comunità contadina, e fu proprio il mondo rurale a riconoscere la grande efficacia comunicativa dei versi cantati, della canzone, come mezzo attraverso il quale rivendicare i propri diritti.

Sicuramente l’incisività del linguaggio dialettale rafforza l’urgenza del messaggio:

«..Me sientu nu rimorsu tuttu l’annu, si un fazzu na fràssia alli tri jurni…»
(Saverio Perri)

Quell’iniziale canto di protesta si trasformò, nel giro di qualche decennio, in una sorta di spettacolo di cabaret da proporre nel periodo del Carnevale.
Mantenendo il carattere eminentemente satirico, fu Saverio Perri, detto il Carpentiere, l’artefice di questo mutamento.

Quasi come in una leggenda, si racconta che di ritorno dal Brasile, Perri ispirato dal Carnevale di Rio diede vita a una manifestazione simile a San Giovanni in Fiore. La sua attività artistica si estende orientativamente nel decennio che va dagli anni ’20 a gli anni ’30 dello scorso secolo.

Interprete degli umori della società sangiovannese del tempo, ne raccontò i mutamenti e le disillusioni.

La sua prima fràssia risalirebbe al 1921, intitolata La luce elettrica, in quello stesso anno il paese si dotò per la prima volta del sistema di illuminazione artificiale. Ne seguirono altre, ma quella più famosa è sicuramente La ferrovia silana, datata 1925, nella quale si fece beffe della pessima organizzazione dei politici, questi promisero la costruzione di un collegamento ferroviario con il capoluogo di provincia, Cosenza:

«Sent’a mmia, ca signu e mente fina,
un stare a sentere a Berardelli e a Mancina.

Berardelli te ricia de sì,
Mancia te fa mo’ mo’,
ma muri e un lu viri,
‘nu capu… e staziò! »

In Me fau ‘ntossica, Perri denuncia l’atteggiamento licenzioso di alcune “vedove bianche”, donne che nell’attesa dei loro mariti emigrati nelle Americhe si davano alla rilassatezza dei costumi:

«…C’è na brunetta ‘ntra nu certu vicu,
ca u maritu all’America l’ha
me fa siccare cu siccu le ficu
cu na guardata che illa me fa.
Me fa ‘ntossica, me fa ‘ntossica…!»

Saverio Perri è ricordato anche per essere fondatore della prima compagnia teatrale del paese, i «Faccibrutti», nome che deriverebbe dall’abitudine dei teatranti di tingersi il viso con il carbone. Le sue sceneggiate e le sue fràssie, attesissime- preparate per essere allestite in un cinema-teatro in legno, tanto rudimentale da essere chiamato «Barracca»- finivano per registrare il “tutto esaurito” nell’arco di pochi giorni, e il Carpentiere era costretto a spostarsi nelle piazze.

Se Saverio Perri è considerato il precursore dello spettacolo delle fràssie, fu sicuramente Pasquale Spina ad evolverne e stabilizzarne il canone. Di umili origini, questa condizione lo rese particolarmente sensibile alle preoccupazioni degli strati sociali più deboli, dei quali ne difese la dignità e ne raccontò le sventure. Non mancando di ironizzare e sdrammatizzare su vicende imbarazzanti, rendendo la recitazione della fràssia una sorta di momento catartico, Spina era soprattutto interessato a mettere in risalto l’aspetto emotivo dei personaggi di cui andava cantando.

Il suo volto dotato di naturale espressività si faceva maschera, e con movimenti comici o tetri accompagnava l’intera esibizione, rafforzandone la comunicazione.

Capolavoro indiscusso della sua produzione di fràssiaro è la composizione intitolata E rue cummari. Fràssia in “turillalà”- diversa, e più recente della fràssia in “ohitò”, quest’ultima in giro su scala  minore, rispetto alla prima che è in tonalità maggiore – E rue cummari racconta con grande dovizia di particolari la storiella di «Agustinu ‘u spazzinu». Agostino, giovane spazzino, se ne andava baldanzosamente per i vichi del paese quando due donne, le due comari appunto, ne arrestano la passeggiata con domande curiose e sguardi ammiccanti. Costringendo il poveraccio a seguirle dentro casa, se ne approfittano nottetempo, e il mattino seguente Agostino in ginocchioni viene trascinato da tre persone che lo conducono dalla madre, che traumatizzata bestemmia:

«E lu jurnu e ‘ra Pifania,
camminava ppe la via,
nu giuvine mafiusu,
cu lu passu baldanzusu.

E rue cummari ti l’hau fermatu
E ti l’hauri addimmannatu:
“giuvino cchi va’ girnnu
E pecchi va caminannu?”
Turillalà là là
Turillà là là là!
[…]

S’è dicuetu alli gninocchiuni,
rascinatu e tri persuni,
e la mamma quannu l’ha vistu
ha jestimatu Gesù Cristu…!
Turillalà là là
Turillà là là là!»

Su di un autocarro, circondato da un corteo di maschere, Spina proponeva uno spettacolo itinerante nei principali rioni del paese. Di seguito un video, risalente al Carnevale del 1989, nel quale il fràssiaro canta la suddetta fràssia (Approfondimenti – video 1)

L’attività artistica di Pasquale Spina non si limitava alla sola composizione di fràssie, è altresì conosciuto come poeta, nota è la sua raccolta di liriche intitolata Ricùardi. L’eco delle sue composizioni giunge oggi ad ispirare e orientare le fràssie più recenti. È da qualche anno che la manifestazione delle frassiè, trasformata in un vero e proprio concorso, è dedicata alla sua memoria.

Pasquale Spina

Oggi lo spettacolo non è più itinerante, ciò che non è cambiato dai tempi di Spina è che esso continua a svolgersi la domenica successiva a quella del Carnevale, il giorno di Carnevalune. Benché ci sia ancora chi, in continuità con la tradizione, propone fràssie in “ohito” o in “turillalà”– aggiornate certo con problemi e tematiche contemporanee – come Giuseppe Costante, vincitore del concorso di quest’anno, con una fràssia intitolata Coronavirus (Approfondimenti – video 2).

C’è chi invece ha voluto distaccarsene, attingendo ad ispirazioni esterne, o introducendo talvolta elementi di piena libertà espressiva. 

Mi vengono in mente le fràssie di Francesco Scarcelli, il quale trae ispirazione da Giorgio Gaber. Nel 2016 Scarcelli vince con la fràssia intitolata Na banda e cime allu cumune, il cui tema musicale è quello de La famiglia disgraziata di Gaber (Approfondimenti – video 3).

Ammiratore dei cantautori italiani e stranieri, Scarcelli è anche membro dell’Accademia Gucciniana, ogni anno è tra gli organizzatori del raduno dedicato a Francesco Guccini. Le si potrebbe definire quasi dadaiste le fràssie di Alfredo Federico. Caratterizzate da una forse eccessiva spontaneità, esse non presentano rime, rompono e ironizzano con la tradizione, mantenendone però il tono polemico, hanno il fine soprattutto di divertire. Lo scorso anno, la sua Nella vecchia San Giovanni ha utilizzato la linea musicale della filastrocca per bambini Nella vecchia Fattoria (Approfondimenti – video 4).

Una storia lunga più di un secolo quella della fràssia, in tutto questo tempo i suoi modi di informare, drammatizzare, far riflettere e divertire sono certamente cambiati, ciò che è invariato è il suo rappresentare il maggiore mezzo espressivo e creativo del popolo sangiovannese, dimostrando di essere una delle sue tradizioni più longeve e apprezzate.

 

Maria Claudia Leone

 

Approfondimenti: 

 

Bibliografia

  • Saverio Basile, Saverio Perri, Il primo cantastorie della Sila. Calabria Letteraria, rivista mensile di cultura e arte. Gennaio, febbraio, marzo 1981;
  • Teresa Bitonti e Salvatore Oliverio, La cultura nel Novecento, da San Giovanni in Fiore- Storia Cultura Economia. Autori Vari. 1998. Rubbettino Editore.

Immagine:

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/4/4b/Pasquale_Spina.jpg.

Informazioni su Maria Claudia Leone

Laureata al DAMS dell'Università della Calabria, con una tesi sul lavoro di indagine folklorica della cantautrice e artista cilena Violeta Parra. Attualmente iscritta al corso di laurea magistrale in Scienze storiche della medesima università.
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