“La campana di vetro” è l’unico romanzo di Sylvia Plath. Fu pubblicato nel 1963 in Inghilterra e, inizialmente, venne accolto con un tiepido consenso dalla critica. Sebbene la sua fama sia essenzialmente legata a un’indiscutibile abilità poetica, a oggi, il manoscritto risulta essere un testo essenziale per la letteratura contemporanea, fondamentale per comprendere, nella sua pienezza, l’animo fragile e sensibile dell’autrice.
LA VITA
Sylvia Plath nasce il 27 ottobre 1932 a Jamaica Plain da genitori europei. Il padre, Otto, è di origini tedesche, insegna biologia alla Boston University. La madre, Aurelia Schober, figlia di genitori austriaci emigrati in America, è un’ex allieva di Otto che decide di lasciare il suo lavoro pur di aiutare il marito nelle sue ricerche. Il rapporto con i genitori è conflittuale: il padre è un uomo burbero e prepotente il quale rivela alla bambina, che avrebbe preferito avere un figlio piuttosto che lei. Poco dopo la nascita del fratello Warren, Otto si ammala. Si convince di avere un tumore mentre, in realtà, si trattava di diabete mellito. La morte del padre segnerà l’animo della scrittrice che non avrà mai la possibilità di superare il lutto: sua madre, infatti, non permetterà ai figli di giungere presso la tomba del marito e rendergli omaggio.
Gli avvenimenti creano una cicatrice profonda nel suo cuore che non riuscirà mai a guarire, ripercuotendosi nelle sue poesie. Sylvia si rivela fin dall’infanzia una bambina volitiva e talentuosa: compone versi su versi, tiene un diario, scrive racconti. Dopo il diploma si immatricola allo Smith College e vince un soggiorno di un mese presso la rivista femminile «Mademoiselle» dove svolgerà il ruolo di editor. Tale esperienza la ispirerà per la realizzazione del suo unico romanzo. Nel 1953 avrà la sua prima crisi depressiva e tenta, per la prima volta, il suicidio. Superato il terribile periodo, nel 1954 si laurea con una tesi sul doppio in Dostoevskij. Due anni dopo incontra l’amore della sua vita: Ted Hughes poeta acclamato con il quale si sposa, in gran segreto, poco tempo dopo.
Il loro amore è travolgente e Sylvia compone poesie sul loro idillico sentimento. Ben presto, però, la frustrazione si insinua prepotente nella donna: il marito gode di un vasto successo mentre lei non riesce a essere produttiva, schiacciata in un ruolo che non avverte come suo. Le incombenze casalinghe, la cura dei figli, la depressione post partum mai superata, la distolgono dal profondo raccoglimento, non consentendole la possibilità di scrivere come vorrebbe.
La situazione precipita: il marito si innamora di un’altra donna e la lascia. Sylvia è in balia di emozioni contrastanti e avverte il peso di una situazione ingombrante. Non reggendo più il dolore, all’alba dell’11 febbraio 1963, prepara la colazione ai figli, apre la finestra della loro cameretta, sigilla la porta e si reca in cucina dove si toglie la vita.
L’OPERA
“La campana di vetro” si divide in tre parti e ripercorre la storia di Esther. Il primo blocco verte sui cambiamenti ai quali la protagonista assiste inizialmente inerte e confusa. Esther giunge in un luogo lontano, avulso dalla realtà borghese: si trova in un’affascinante megalopoli dove la donna vorrebbe costruire sé stessa e ottenere gratificazioni lavorative ed emotive. Come il protagonista del Giovane Holden, romanzo a cui chiaramente la Plath si ispira, Esther subisce tentazioni e vive un turbinio di avvenimenti negativi da cui, però, trae insegnamento.
La vita in quel luogo più grande di lei, così veloce ed eccessivo, la formano. E la conducono, poi, verso la necessità di una rinascita metaforica, una purificazione che si origina spogliandosi dei vestiti costosi, guidandola verso un’iniziazione.
Il secondo blocco narra la necessità intensa di potersi identificare in qualcosa e in qualcuno. La donna conosce la follia nell’esistenza quotidiana. La campana di vetro la schiaccia, non le consente il respiro, l’attanaglia in una morsa di dolore. La famiglia, gli amori, le aspettative sociali, l’università: tutto in lei diventa prigione.
Il terzo blocco vuole essere simbolo di rinascita e di normalità. La donna anela alla pace interiore. La campana di vetro, titolo dell’opera, è metafora evidente del dominio della società e di come essa arrechi danno agli animi più sensibili, desiderosi di accettazione e conforto. È una società violenta che la spezza e la dilania. Sylvia Plath è in grado di distruggere e ricomporre il lettore, di ammaliarlo e spaventarlo.È dolce melodia di versi e prosa, è lama che trafigge e, paradossalmente, salva. È un romanzo che mostra le contraddizioni, la bellezza e la sensibilità dell’autrice.
La Plath è intensa come un temporale e leggera come brezza estiva. La sua forza e la sua fragilità sono presenti in una sua celebre poesia che mette in evidenza, inoltre, la pressione sociale che ha sempre avvertito dentro di sé come totalizzante: Io sono verticale. Nei versi ella spiega che non sarà mai aiuola dai colori sgargianti e dal profumo soave. Sarà sempre il dolore che porta dietro privata di identità ed essenza.
A lei la parola:
Io sono verticale
ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un’aiuola
ultradipinta che susciti gridi di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima d’un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia.
Stasera all’infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo, ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo e io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resterò sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno,
i fiori avranno tempo per me.
Lorenza De Marco
Bibliografia:
Sylvia Plath, La campana di vetro, traduzioni di Adriana Bottini e Anna Ravano, postfazione di Claudio Gorlier, Milano, Oscar Mondadori.
Laureata in Lettere e Beni culturali, attualmente è iscritta al corso di Filologia Moderna presso l’Università della Calabria.