Il Giappone dei Kami | Seconda ed ultima parte

Oltre agli altarini situati in boschi e foreste, il culto dei kami è fortemente praticato all’interno dei santuari shintoisti, i cosiddetti jinja, che si crede siano la dimora delle divinità. I jinja si differenziano dai più imponenti templi buddhisti per via della struttura di legno solitamente coperta con un tetto di paglia.

Un santuario è costituito da numerose stanze non tutte accessibili ai fedeli come ad esempio l’honden, cioè la stanza dove risiede “il corpo sacro del kami”. Caratteristico è il torii, il portale che permette l’accesso al tempio. Costruito solitamente in legno (ma recentemente anche materiali come l’acciaio sono molto usati) è composto da due colonne che sostengono una o più travi, ed è dipinto da un acceso colore rosso.

La loro origine è incerta, anche se possiamo riscontrare la loro presenza in modi e forme differenti in tutta l’Asia. Il torii delimita l’area sacra del tempio permettendo così ai fedeli di potersi purificare, pratica completata grazie all’abluzione rituale nel padiglione con la vasca detto chōzuya.

Il jinja più importante del Giappone è il Santuario di Ise, un enorme complesso diviso in “santuario esterno” detto gekū (situato nel villaggio di Yamada) e in “santuario interno” detto naikū (nel villaggio di Uji). Situato nella prefettura di Mie e dedicato alla dea Amaterasu, il complesso è citato all’interno del Kojiki stesso e la sua costruzione viene datata dagli storici nel 690 circa. Ancora oggi è un’importante meta di pellegrinaggio per tutti i fedeli.

Santuario di Itsukushima

Il forte sincretismo dello shintoismo e del Buddhismo portò sempre di più alla pratica di entrambi i culti all’interno sia dei jinja sia nei templi buddhisti. I kami erano ormai diventati nell’immaginario collettivo incarnazioni dei Bodhisattva, esseri che vegliano sugli esseri senzienti, coesistendo pacificamente l’uno in funzione dell’altro.

Tuttavia durante la Restaurazione Meiji nel 1868 avvenne il cosiddetto “Shinbutsu Bunri”, la scissione dei due culti. Lo shintoismo divenne religione di stato (Kokka Shintō), come risposta al crescente nazionalismo sviluppatosi in parte a causa delle crescenti pressioni provenienti dall’Occidente.

L’imperatore era tornato il punto di riferimento del popolo poiché egli stesso discendente da un kami, ritornando agli antichi fasti dopo un periodo in cui fu messo da parte dalle autorità dello shogunato, effettivi padroni del paese fino a quel momento.

L’imperatore Shōwa, il 124º imperatore del Giappone secondo il tradizionale ordine di successione e comandante del Giappone in Guerra dal 1941 al 1945. Il suo nome personale era Hirohito e il suo titolo onorifico Michi no miya. (Wikipedia)

Le forti proteste anti-buddhiste portarono alla chiusura immediata di tutti i templi e alla distruzione di statue e figure sacre. Questo forte processo fu però considerato un parziale fallimento poiché già nel 1873 le politiche governative furono allentate e rese meno rigide.

Tuttavia il pensiero di tener separati i due culti proseguì fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando l’imperatore Hirohito tenne in diretta radiofonica il famoso discorso in cui dichiarò di non essere di discendenza divina, oltre a ufficializzare la sconfitta del paese. Ciò sconvolse fortemente il popolo giapponese che aveva riposto per certi versi tutte le proprie credenze nella superiorità “divina” della propria nazione.

Kagura-Den, Naiku, Ise Shrine

Molte sono le festività dedicate ai kami, con tanto di cerimonie presiedute dall’imperatore stesso. Rappresentativa è l’Onamesai, l’ultima parte della cerimonia celebrata quando a salire al trono è un nuovo imperatore. Egli celebra l’evento rendendo omaggio ai kami offrendo loro dei doni tra cui riso, zuppe e frutta.

Molte feste sono celebrate portando in spalla il mikoshi, cioè il palanchino che funge da portantina per la divinità durante i matsuri. Questi enormi palanchini possono avere forme e dimensioni diverse in base alle occasioni e sono portati in sfilata prima di raggiungere il santuario. Questi eventi coinvolgono tutta la comunità, e sono molto attesi per via dell’atmosfera vivace che li pervade.

Ancora oggi in Giappone i kami sono ancora parte integrante della vita di un popolo che, sebbene sia proiettata sempre di più verso un futuro tecnologico e occidentalizzato, trova ancora il modo di esprimere l’attaccamento alle proprie origini.

Vittoria Aiello

Il Giappone dei Kami | Prima parte

 

Immagini:

Informazioni su Vittoria Aiello

Laureata in Lingue e Culture Orientali, il disegno e l'Asia sono le sue più grandi passioni. Lettrice instancabile, non perde mai l'occasione di scoprire e imparare cose nuove da altre culture.
Aggiungi ai preferiti : Permalink.

I commenti sono chiusi.